Qualche anno fa un’amica mi aveva detto: “una delle mie scrittrici preferite è Antonia Arslan“. Un nome che non conoscevo ma che dopo una veloce ricerca ho scoperto essere molto celebre. In questa occasione, vi presento il suo più grande successo: La masseria delle allodole.
Pubblicato nel 2004, ha ricevuto diversi riconoscimenti (Premio Giuseppe Berto e Premio Stresa), è stato finalista del premio Campiello e i fratelli Taviani ne hanno tratto un omonimo film uscito nel 2007.
L’autrice: Antonia Arslan
L’autrice è stata professoressa di Letteratura moderna presso l’Università di Padova.
Di origine armena, nata e cresciuta in Italia. La sua produzione letteraria ha approfondito sia il lato storico che romanzesco del suo popolo, delle ricerche sul genocidio che lo ha decimato alla traduzione dei principali intellettuali e poeti.
Con delicatezza la sua scrittura sa mettere in luce ferite dolorosissime per un popolo che non solo ha subito uno dei più efferati genocidi degli ultimi 150 anni, ma lo ha veduto anche negato. E lo fa senza un filo d’odio, bensì con la nostalgia che ci lega alle foto in bianco nero di avi che non abbiamo mai conosciuto, e con il desiderio che quanto è accaduto non venga dimenticato.
Il libro: La masseria delle allodole
Il libro che vi presento non è propriamente un libro di viaggio, è un romanzo storico che ci porta in territori che oggi prendono il nome di Turchia e racconta le atrocità di quello che è stato il sistematico genocidio del popolo armeno. Durante questo massacro che è avvenuto allo scoppio della prima guerra mondiale la nostra autrice ha perso molti dei suoi antenati. L’ho scelto principalmente per due motivi: è un tema poco conosciuto, di grande interesse e ritengo che la conoscenza storica sia parte fondamentale per quello che potrebbe poi essere un viaggio.
Un viaggio non deve comprendere solamente le bellezze naturali o architettoniche di un paese ma deve tenere in considerazione anche la storia del popolo che abita o ha abitato quei luoghi.
“ Un singolo morto era prima un essere che respirava, era vivo, e la sua spoglia è un cadavere che può essere onorato: centomila morti sono un mucchio in putrefazione, un cumulo di letame, più nulla del nulla, un’immonda realtà di cui disfarsi. “
La masseria delle allodole – Antonia Arslan
La narrazione si avvia con la presentazione della famiglia Arslanian. Sinceramente la prime pagine ricordano una saga familiare, moltissime descrizioni dei componenti della famiglia che in prima battuta possono apparire quasi eccessive ma che andando avanti con la lettura si riveleranno molto importanti. In particolar modo, le descrizioni delle donne della famiglia, che saranno il fulcro della cronaca; saranno loro che dovranno farsi carico di salvare quella cultura armena dopo la barbara uccisione dei loro uomini e la distruzione delle loro città. Sarà distrutta anche la masseria delle allodole che Sempad stava rimettendo a nuovo per l’arrivo del fratello Yerwant, emigrato in Italia all’età di tredici anni e diventato un medico di successo.
Sarà proprio dalla distruzione della masseria che avrà inizio l’epopea delle donne, lasciate in vita ma costrette a fuggire con i bambini e i vecchi verso Aleppo, scortate dai militari, lasciate senza cibo e acqua a marciare per ore e ore nella più totale indifferenza dei gendarmi.
“Di quanti, di quante biancheggiano ormai le ossa sui sentieri, quanti gonfi cadaveri sono trasportati dall’Eufrate; quanti bambini, quante ragazze sono scomparsi.”
La masseria delle allodole – Antonia Arslan
Antonia Arslan è impareggiabile, descrive i dettagli dei massacri in maniera minuziosa, in alcuni passaggi può sembrare troppo crudele ma va bene cosi, rende la gravità dei fatti.
Ci trascina in situazioni estreme e ci fa annusare l’odore del cuoio e dell’incenso di Aleppo, ci fa mescolare con la marea di armeni accampati a ridosso delle sue mura, ci fa provare il dolore della pelle arsa dal sole e la fatica della carovana che arranca sugli impietosi versanti del Tauro ma, nonostante tutto questo, riesce a regalarci una sensazione di sollievo incontrando una fontanella o sotto l’ombra di un platano.
E proprio in quei momenti di “ristoro” sembra di essere li, con Shushanig e i piccoli a condividere la disperazione per una colpa che non esiste, figlia di un folle fanatismo.
Un libro magistrale che svela la brutalità di un massacro che ancora in molti vogliono sminuire o negare.
Questa volta, davvero, buona lettura!
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