L’equatore è come le Marche (e l’Ecuador non esiste)
Vi siete mai chiesti come potesse essere l’equatore? Io sì, tante volte. Immaginavo giungle folte di palme e manghi, un caldo torrido e paludi inesplorate.
Da Quito a Tulcán si attraversa l’equatore fino ad arrivare al confine con la Colombia e da qui verso la prima città di frontiera di Ipiales. I nomi delle città emanano un soffuso spirito esotico, Otavalo, Ibarra, Julio Andrade.
Il percorso in bus si sviluppa sui versanti dei vulcani delle Ande a circa 3000m di quota. L’ Ecuador è diverso dagli altri paesi che abbiamo visitato finora, é discreto e tiepido, quasi malinconico, le infrastrutture sono ottime e la gente é paciosa e di basso profilo. Il cibo é semplice e buono, molto di più dell’esuberante ma spesso pasticciato cibo peruviano.

Dal finestrino scorrono allevamenti di mucche, case basse intonacate di bianco e il tetto a coppi, una distesa di campi coltivati tappezza i versanti delle montagne e le alture dove si arrampicano trattori e biciclette. La temperatura é rigidina, intorno ai 10/15 Gradi.
Ad un certo punto compare un’insegna sopra la porta di un edificio, recita: “carbonara e crescia lonza e erba”. Ops no forse ora sto esagerando.
Ma non avrei mai detto che l’equatore potesse essere come le Marche.

