Boom Bogotà!
Per quanto possa sembrare inquieta, mefitica e difficile a prima vista, a me Bogotà è apparsa una metropoli stellare ampiamente sottovalutata, un assoluto must-see.
E questa dicotomia è inevitabile in una città in cui tutto viene dal basso, frullando lussuria e arte, sporcizia e musicalità: dalle prostitute nude con le tettone di Santa Fe ai graffiti meravigliosi che panneggiano i grattacieli del Chapinero.
Bogotà è unica nel panorama colombiano, ha un respiro universale che nessun’altra città può contendergli e, passeggiando per le sue strade, ti accorgi di come sia diventata un mostro a mille teste, plasmata dai secoli e dai diversi popoli che l’ hanno abitata, un seducente camaleonte che passa con una facilità disarmante da una elegante piccola Londra a red-bricks con pertugi noir alla Harry Potter e librerie punk alla decadente e cementosa downtown di una city della Rust Belt.
Eppure, nonostante tutto, rimane inequivocabilmente sudamericana con quell’impasto torbido di sudore, dolcezza e terrore. Il quartiere de La candelaria è uno splendido gioiello coloniale (sarà gentrificato, ma sempre meglio così che devastato), i suoi musei sono meravigliosi (su tutti l’incredibile Museo dell’Oro); le librerie potrebbero fare concorrenza a quelle di Buenos Aires e la magnificenza di Plaza De Bolivar toglie il fiato.
E se avete bisogno di una pausa per tirarvi su, nessun problema: all’Amor Patrio avrete a disposizione 10 tipologie diverse di caffè e 12 modalità diverse di prepararlo. Al diavolo l’Espresso e la Moka! Non abbiamo mai capito nulla di Caffè…
Un giorno con Padre Gabriele a Bogotà “Sin Fronteras” (ultimo giorno del nostro Grande Viaggio e note finali)
E’ l’ultimo giorno del nostro viaggio e, subito dopo pranzo, con la stessa spontaneità di un rutto, Padre Gabriele infila un discorso magico che – senza nemmeno saperlo – riassume tutto il nostro anno da vagabondi.
E lo fa nel tempo utile a succhiare la polpa da un frutto di granadilla maturo. Questo è Padre Gabriele: un fiume in piena che travolge tutti, belli e brutti. Peccato che, così come la piena rende fertile la terra, a volte distrugge anche gli alberi. Prendere o lasciare.
A Padre Gabriele Bogotà non piace eppure gli si legge negli occhi che questa metropoli malvagia e tentatrice gli rimarrà dentro per tutta la vita. Sono le storie della gente comune a penetrare: storie di abusi, prostituzione, droga, criminalità, follia e un dolore immane e inconfessabile che Padre Gabriele benedisce sempre con un sorriso.
Santa Fe, una rete di strade tra la Caracas e la 18 a poche cuadras dalla downtown e a pochi chilometri dal centro storico, è l’area dove Comboniani e Suore del Buon Pastore lavorano per assistere prostitute e bisognosi. Il quartiere è un inferno totale dove lo status quo è vegliato dall’ombra onnipresente dei paramilitari che ne tirano le fila: le abitazioni sono al 90% bordelli o centri di spaccio e in fila sul marciapiede da prima mattina a notte, nere, mulatte e transessuali si dividono le zone. Molte qui conoscono padre Gabriele, lui le abbraccia e le saluta tutte con amore indomabile, effervescenza incontenibile e un’energia inesauribile. Lavorare qui è come spegnere un incendio con un superliquidator ma lui va avanti imperterrito con un solo e unico mantra: fare del bene.
Discorso magico, dicevamo. Padre Gabriele parlava di una certa essenza “divina” che abbiamo dentro tutti e che ci accomuna: figli di Dio, ma senza la necessità che questo Dio sia Cristiano o che qualche sovrastruttura mistica si metta di mezzo. Tutti divini, tutti quindi degni. Una delle caratteristiche che identifica tutti noi, nessuno escluso, e che chiamavamo “umanità” dalla nostra prospettiva laica. Una caratteristica che spesso giace sepolta, sotterrata dai sentimenti di prevaricazione, mancanza di rispetto, individualismo che le nostre vite fatte di benessere o miseria, problemi quotidiani o trascendentali ci impongono. Ecco, in questo viaggio volevamo – con i nostri racconti- abbattere queste frontiere e divisioni: ironicamente “Sin Fronteras” è il nome della rivista dei missionari comboniani.
Viaggiare per un anno non è stato semplice.
Ma di sicuro non abbiamo MAI smesso di cercare l’essenza divina/umana negli altri, anche dove era profondamente nascosta dalle differenze evidenti, e abbiamo varcato le frontiere solo per dimostrare che in realtà queste differenze non esistono: alla fine dei conti, desideriamo tutti le stesse cose essenziali.
Ora torneremo alle nostre vite quotidiane, e beh… non vi nascondiamo che questa per noi sarà la vera avventura!