Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan
[Day 166 to 168] Tashkent
Avete presente quei ragazzi diligenti che se la prendono perché non capiscono cosa non va nella loro vita nonostante il loro comportamento sia impeccabilmente perfetto? Ecco Tashkent mi sembra un po’ questo: palazzi luminosi e lustri, ampi parchi con fontane giganti, la gente tutta in tiro fila spedita su marciapiedi che potresti leccare per quanto son puliti, stormi di Chevrolet bianche tutte nuove e identiche. Eppure mi sembra una città che abbia cominciato da poco a leggere su un manuale come si deve vivere in città (e possibilmente alla occidentale, specialmente alla americana). E puntualmente la capitale dell’ Uzbekistan perde la sua occasione di fare il boom, i turisti gli preferiscono le storiche Samarkanda e Bukhara.
Eppure Tashkent ne avrebbe da spendere: il Chorsu Bazaar è uno dei mercati più fantascientifici che abbia mai visto, la medressa Kukeldash e l’area del Hizret Imam sono un ottimo antipasto delle antiche meraviglie dell’ Uzbekistan.
Ma evidentemente la storia non interessa molto ai nuovi architetti della città: orde di bulldozer stanno tuttora distruggendo la città vecchia per far posto ad una nuova moschea gigantesca pressoché identica a quella accanto vecchia di 400 anni. E ciò che viene mantenuto viene sbudellato per farlo sembrare nuovo di zecca.
Di positivo c’è che è la prima volta da quando siamo partiti per l’ Asia centrale che vediamo una vera grande ricca città. Speriamo che in futuro, dopo i soldi, Tashkent riuscirà anche a guadagnarsi un’ anima.
Le vite degli altri: Servina e Jacob a Tashkent
Definire l’Uzbekistan, soprattutto quello moderno, è difficile, molto più difficile dell’ arcigno Kyrgyzstan e del passionale Tajikistan. È un paese in profonda transizione in cui la gente si aspetta un grande futuro e il futuro fa rima con nuovo. Dopo la morte di Karimov, il presidente che ha gestito per 30 anni il paese, tutto sta cambiando a velocità strabiliante. Allo stesso tempo però è un paese con tradizioni radicate dove la famiglia e i gruppi familiari sono l’elemento fondamentale su cui si poggia l’intera società.
Sarvina ci ha invitato a pranzo nella sua attuale abitazione di Tashkent dove vive con la mamma di suo marito. Lei è originaria di Navoiy, vicino Bukhara. A farci compagnia ci sono la suocera di Sarvina e le mogli dei fratelli della famiglia. La casa è già di per sè una sorpresa: un appartamento delizioso e raffinato, se non quasi lussuoso all’interno di una palazzina sovietica scalcagnata e disfatta.
Sarvina ha 22 anni, un bimbo di 5 anni e un altro in grembo. È sveglissima e in gamba, non lavora (il marito dice che non serve) ma sta prendendo lezioni di matematica e di inglese ed ha un sacco di idee per la testa. Il suo bimbo è un piccolo genietto, si ricorda tutte le capitali del mondo ed è appassionato di libri, mi ricorda un po’ qualcuno. Suo marito invece, proprietario di un’azienda, è sempre fuori per lavoro e si vede solo due volte al mese con lei.
Verso sera Salutiamo Sarvina, e ci avviamo verso il nostro ostello. Per strada, ci mettiamo a parlare con Jacob, un ragazzo molto brillante e dall’ottimo inglese che è uscito a prendere un po’ d’aria fuori dal ristorante dove si sta festeggiando uno dei soliti indiavolati matrimoni uzbeki.
Mi chiede quanto penso che l’Uzbekistan sia sviluppato, anche paragonandolo all’Italia. È una domanda che mi mette in grande difficoltà perché la risposta non è univoca. Gli dico che l’Italia è ancora un po’ sopra ma che l’Uzbekistan ha grandi possibilità e che il paragone è difficile perché noi siamo in fase stagnante mentre loro stanno crescendo molto.
Dopo la dipartita di Karimov, due anni fa, le parole d’ordine in tutto il paese sono cambiamento e apertura. Qui la parola “cambiamento” ha un significato importante e profondo, non sono boiate populiste. Dalla concessione del visto elettronico, all’apertura delle frontiere a diversi contratti chiusi con General Motors e, in ultimo, con l’ente spaziale europeo e con la Francia. Gli uzbeki sono dei gran lavoratori efficienti e produttivi e i risultati si vedono.
È come vedere un film sull’Italia del miracolo economico, il popolo è in fibrillazione, sembra avere le ali ai piedi, parla di speranza, di profitti, di nuove attività e nuovo benessere.
Il nostro tempo in Uzbekistan è terminato. Siamo certi che qui nel giro di due anni tutto cambierà e siamo davvero curiosi di capire la direzione che prenderà questo paese.