Da Sary Tash a Murghab passando per Karakul in Tajikistan (terza parte)
[Day 153] Ce la possiamo fare… Quasi a Murghab!
Ci sono i polacchi del giorno prima su quella jeep verde scuro! Non aspettavamo altro che loro a dir la verità. Ci caricano con un mix feeling, di sicuro sembriamo e siamo dei disperati disadattati. Con loro saliamo sul “tetto del mondo”, cosi è chiamata la Pamir Highway, la seconda strada più alta del mondo che raggiunge i 4655 nel passo Ak-Baital. Il respiro è affaticato sia per l’altitudine sia per la vista mozzafiato.
A metà strada incontriamo tre militari a piedi nel mezzo del nulla, ci fanno gesto di fermarci, i polacchi preparano subito i visa pensando ad un controllo. I militari se la ridono, vogliono semplicemente un passaggio, va bene anche nel bagaglio! Ma purtroppo è pieno pure quello, quindi “rien a faire”. Ci sentiamo un po’ in colpa.
Arriviamo fino allo svincolo con Rankul, un lago nei pressi del confine cinese, dopo un centinaio di chilometri. I polacchi devono svoltare, noi dobbiamo proseguire verso Murghab, siamo di nuovo a piedi, questa volta seriamente nel mezzo del nulla, a parte un manipolo di case in lontananza a circa 4km di distanza. La tattica è la seguente: autostop fino al tramonto poi, in caso negativo, rotta verso il piccolo villaggio in cerca di un alloggio. Dopo mezz’ora, dilaniati dal vento e mentre incombono nuvole minacciose, vediamo una informe massa nera all’orizzonte. Quando si avvicina capiamo che è un camioncino scassatissimo che sbanda a destra e sinistra, carico all’inverosimile: 4 persone dentro la cabina, 3 persone, 3 pecore, 2 gatti, 1 capra e una montagna di piante e pali di legno nel cassone. Ma la sorpresa è che sul tetto del camioncino ci sono i 3 militari che avevamo visto prima! Veniamo accolti con gioia nel cassone e partiamo tutti insieme alla volta di Murghab.
Mancano solo 20km ma le ruote del camioncino girano a fatica perché l’olio si è solidificato e comincia un monta-smonta infinito della ruota e del semiasse. Ripartiamo e dopo un’ora circa compare un grande arco con scritte in cirillico e in lontananza uno stuolo di casette bianche. “Welcome to Murghab” dice uno dei militari. Ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati.
Le vite degli altri: Mirzoev a Murghab
Vi ricordate il militare che ci aveva scherzosamente “invitato” a dormire al confine? Si chiama Mirzoev ed è un tenente di primo livello. Fossero tutti cosi i tenenti, guarderei con più benevolenza alle armi militari. Lo reincontriamo a Murghab e ci invita a pranzare con lui: ne nasce un simpatico gozzovigliare che dura fino a notte. Mirzoev è un gran burlone e conosce tutti qua a Murghab nonostante sia di Dushanbe, cioè a 1000 km di distanza. È il suo giorno di libertà e vuole festeggiare, non ha molta voglia di tornare lassù al confine, a 4200 metri. In generale il Pamir non gli piace, è povero e non si riesce a respirare, altitudine troppo elevata. Non vede l’ora di tornare a Dushanbe.
Mirzoev non parla inglese e, come al solito, ci affidiamo a google translate, alle nostre intuizioni e ai nostri primi vagiti di russo, che abbiamo incredibilmente migliorato in questo mese.
Mirzoev chiude la tendina della nostra stanza: è appena entrato nel ristorante il tenente colonnello, tre gradi sopra di lui, e non vuole farsi vedere mentre fa bisboccia in divisa.
Usciamo che è notte, Murghab, e in generale tutto il Pamir, dopo le 21 diventano un cimitero spettrale. Non ci sono luci, nessuno in giro. Mirzoev ci guida verso la guesthouse camminando nella totale oscurità, non sappiamo come faccia. I latrati dei cani in lontananza fanno davvero paura, in cielo c’è una stellata spettacolare.
Il Pamir è davvero un posto assurdo, quasi ultraterreno.