Shah in Shah di Ryszard Kapuściński

Ryszard Kapuscinski, un nome che per gli appassionati di letteratura di viaggio significa una fonte d’ispirazione, un modello, un grande esempio di tolleranza verso gli altri e di enorme professionalità. Nato in Polonia orientale nel 1932, precisamente a Pinsk, Ha svolto il ruolo di corrispondente estero fino al 1981 per l’agenzia di stampa polacca PAP, la sua carriera di reporter comincia nel 1956 quando viene inviato per la prima volta in India.
Da quel momento, il “vagabondo della storia” come mi piace chiamarlo comincia a girare il mondo: ha documentato la fine del colonialismo europeo in Africa, i moti rivoluzionari dell’America centrale, il disfacimento dell’Unione Sovietica, i paradossi dell’America Latina e le cadute di potenti regnanti come il Negus d’Etiopia o lo Scià di Persia.
Proprio quest’ultimo è il protagonista di Shah in Shah, probabilmente uno dei libri più intriganti di Kapuscinski per il modo in cui il reporter polacco riesce ad indagare tra le pieghe di una serie di eventi della Storia recente quasi misconosciuti, restituendo un ritratto fedele e appassionante degli accadimenti.

Kapuscinski ci porta in Iran nel 1980, l’anno successivo alla presa del potere da parte del l’Ayatollah Khomeini che mise fine al regno dello Scià Reza Pahlavi, secondo e ultimo regnante della dinastia Pahlavi e reggente di una tradizione millenaria iniziata 2500 anni prima.
Kapuscinski narra le ragioni e i conflitti insiti nella società persiana che porteranno alla rivoluzione e alla conseguente nascita della repubblica Islamica: il lusso sfrenato della casata Pahlavi che vive in un mondo completamente distaccato rispetto alla maggioranza della popolazione ridotta alla fame…
…e le politiche sciagurate dello Scià di Persia, come ad esempio i folli investimenti militari attuati sperperando i proventi del petrolio con lo scopo di tramutare la Persia nella quinta potenza militare mondiale, senza considerare la totale carenza di infrastrutture e di personale specializzato per poter poi gestire questo immenso patrimonio di mezzi, mezzi che inevitabilmente finiranno in rovina abbandonati nel deserto.

Le conseguenze di queste scelte porteranno allo scoppio di sommosse popolari che verranno soffocati nel sangue dalla Savak, la potente polizia segreta appoggiata da alcuni paesi occidentali. In questa situazione di degrado la popolazione si stringerà sempre più attorno alla fede islamica che rappresenta l’unica istituzione in grado di proteggere il popolo dalle violenze di Teheran e che spianerà la strada alla presa di potere di Khomeini.
Khomeini nel frattempo vive in esilio a Parigi dal 1963 ma nonostante questa lontananza riesce a gestire la fazione sciita e a al suo ritorno in Iran nel Febbraio del 1979 istituisce una repubblica islamica che abbraccerà totalmente la legge coranica e che guiderà fino alla morte nel 1989.
Il golpe di stato costringerà lo Scià alla fuga dal paese nel Gennaio 1979, morirà a Il Cairo nel 1980 dopo aver soggiornato in diversi paesi nel giro di pochi mesi.
Kapuscinski ha creato un reportage giornalistico dal taglio antropologico brillante raccontando i fatti storici ma tenendo sempre ben presente il contesto di un paese che non è mai stato una colonia e che, per questo motivo, era naturalmente destinato a seguire un percorso ben diverso da altri paesi rivoluzionari.
Come dichiara un intervistato dal nostro autore: “i persiani sono rimasti persiani per duemilacinquecento anni grazie alla poesia, alla miniatura e al tappeto. Come vede tutte cose inutili dal punto di vista produttivo, ma attraverso di esse ci siamo espressi.”
Buona lettura!
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