Il confine amazzonico tra Perù ed Ecuador via fiume Napo
Parte Prima
Era dai tempi dell’impossibile ingresso in autostop in Tajikistan che non tentavamo un’impresa disperata come questa. Sentivamo il bisogno di ringaluzzire il nostro spirito avventuriero dopo le troppe coccole ricevute in Perú e l’occasione era troppo ghiotta: attraversare il confine Perù-Ecuador lungo il fiume Napo, un’affluente del Rio delle Amazzoni, attraversando la foresta amazzonica.
Partiamo con una manciata di informazioni reperite su internet e molti ci avvertono che non è possibile arrivare in Ecuador ma noi andiamo avanti.
Il primo nome della lista da contattare è Llorlli, barcaiolo iquiteno che dovrebbe condurci in due giorni almeno fino al confine con l’Ecuador. La sua lancia parte due volte a settimana, dopo un po’ di difficoltosi scambi telefonici, andiamo a comprare il biglietto direttamente a casa sua a Versailles, uno dei quartieri più malfamati di Iquitos. Si parte lunedì da Mazan, piccolo porticciolo sul fiume Napo.
Con noi ci sono due cubani, semiclandestini in Perù (lo scopriremo poi) dopo aver attraversato Guyana e Brasile in cerca di fortuna, un goliardico poliziotto di confine con la sua famiglia e Alberto, un barcaiolo ecuatoriano spiantato (lo scopriremo poi) con il suo scagnozzo. L’equipaggio è costituito da una banda di quindicenni capitanati dal figlio del capitan Llorlli, che non prenderà parte al viaggio, facendosi presagire che la risalita del fiume non sarebbe stata esattamente di piacere. Ce la faremo ad arrivare in Ecuador?
Parte Seconda
Il nostro primo obiettivo è Santa Clotilde, un altro porticciolo peruviano sul fiume Napo immerso nell’immensità della foresta amazzonica.
Il lento viaggio sul primo pezzo del fiume Napo dura tutto il giorno finché in serata non ci areniamo in una secca sabbiosa. Servono due ore e cinque persone per disincagliare la lancia nella profonda notte del Rio Napo e alle 22 riusciamo ad arrivare a Santa Clotilde. Il piccolo paesino di fiume sarebbe carino se non fosse per l’umidità atroce e gli scarafaggi grossi come noci che piovono ovunque.
Dormiamo qualche ora e ripartiamo all’alba del giorno seguente. La meta della seconda giornata è Pantoja, paesino posto sul confine peruviano. La giornata è drammatica: ci areniamo di nuovo e il motore si rompe varie volte. In attese delle ripartenze, sbarchiamo sulle spiagge deserte lungo le rive del fiume Napo dove giganteggia una natura come non avevamo mai visto: muri di giungla alti decine di metri e rumori assordanti di insetti e uccelli.
I ritardi accumulati sono enormi e non riusciamo ad arrivare a Pantoja, ci fermiamo per la notte in un piccolo accampamento di nativi costituito di due palafitte di legno e paglia in mezzo alla foresta. Sembra di essere in Apocalypse Now: non c’è corrente elettrica e vengono accesi decine di fuochi per illuminare, cucinare e allontanare le bestie della giungla. L’equipaggio dorme in barca mentre a noi non resta che schiantarci per terra sopra le assi di legno della palafitta avvolti in una rete antizanzare. Ripartiamo distrutti alle 4 di mattina e per pranzo riusciamo finalmente ad arrivare sani e salvi a Pantoja.
Ora non ci resta che attraversare la parte ecuatoriana…
Parte Terza
A Pantoja sbrighiamo le formalità all’ufficio immigrazione e salutiamo il figlio di Llorlli e i suoi compagni: il viaggio con loro è finito. Ora dobbiamo trovare il modo di attraversare il confine fluviale con l’Ecuador e procedere sul fiume Napo fino a El Coca, dove ricomincia la via terrestre.
Ecco, quando meno te lo aspetti che… becchi l’italiano! Giuseppe, psicologo online e viaggiatore “stravagante”, si è fatto una settimana di nave cargo lenta dormendo su una amaca tra Iquitos e Pantoja. Anche lui deve andare a El Coca e in gran fretta visto che tra tre giorni ha un volo dalla Colombia verso Panama.
Alberto, il barcaiolo ecuatoriano, si offre di accompagnarci tutti quanti a El Coca, dietro discreto compenso. Quello che non ci aveva detto subito è che voleva fare salire lui, noi, Giuseppe, i due cubani e il suo scagnozzo in una bagnarola da quattro posti. Accettiamo in ogni caso come dei disperati e quando lungo il tragitto la bagnarola comincia a imbarcare acqua per il troppo peso lui semplicemente ci dà un secchiello per buttarla fuori.
Arriviamo in qualche modo a Nueva Rocafuerte, prima postazione sul lato ecuatoriano. Il timbro sul passaporto ci viene messo da uno svogliato “poliziotto” vestito con la casacca NBA di Westbrook, calzoni corti e infradito. La formalità dura circa 4 secondi, il confine più colabrodo che abbiamo mai visto in vita nostra, potevamo entrare con tonnellate di cocaina e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.
Nel frattempo lo spiantato Alberto é andato ad accompagnare i cubani oltre confine per farli entrare clandestinamente in Ecuador. Ci dice che poi andrà a fare benzina e tornerà presto a prenderci per portarci a El Coca. Fiducioso, il buon Giuseppe gli sgancia 50 euro di anticipo per la benzina davanti ai nostri occhi attoniti. Li rivedrà mai quei soldi?
Parte Quarta
Io, alle e Giuseppe attendiamo nel dehors di una tienda il ritorno di Alberto e cominciamo a fare conoscenza con i locali di Nuevo Rocafuerte: una caterba di ragazzini curiosi e quindi il simpatico Carlos, operatore municipale nonché gestore del ristorante di casa sua.
Viene il tramonto e scendono le tenebre, é ormai chiaro che Alberto si é ciulato le 50 euro di Giuseppe e che non tornerà. Prenderemo quindi la lancia veloce diretta a El Coca alle 5 di mattina del giorno seguente e il capitano ci permette di dormire direttamente all’interno della sua barca. Io e alle andiamo a mangiare a casa di Carlos che apre il suo ristorante-casa solo per noi, ci fa conoscere i suoi splendidi figli e ci cucina del pesce delizioso. Terminata la cena, stiamo tornando verso la barca quando nel buio più totale di Nuevo Rocafuerte incontriamo per caso… Alberto!
Sembrerebbe che la polizia non permetta di comprare benzina alle barche non ufficiali e il suo fornitore clandestino non gliela vuole sganciare, quindi é bloccato qui. Anche lui deve andare a El Coca domani, a questo punto con la nostra stessa barca. Con qualche scusa rimanda la restituzione dei 50 euro e si va ad ubriacare con qualche suo amico. A notte fonda verrà a dormire anche lui in barca, russando per tutto il tempo.
L’ultima tratta in barca, nel quarto e ultimo giorno di questo nostro folle attraversamento di confine, é un paradiso: la lancia corre veloce e silenziosa e i sedili sono super comodi. Alberto deve essere conosciuto un po’ da tutti, considerando che paga perlomeno a Giuseppe il passaggio in barca e un pranzo senza tirar fuori un dollaro, tutto a credito. Non basta per coprire i 50 euro che lui gli aveva anticipato ma appena arrivati a El Coca, Alberto se la fila in men che non si dica e non lo rivedremo mai più.
Dal canto nostro, appena sbarcati a terra, siamo salutati dal grande ponte pieno di macchine che scavalca la città e il fiume Napo. Dopo la bellezza di 8 giorni, tra le città di Yurimaguas, Iquitos, Mazan, Santa Clotilde, Pantoja, Nuevo Rocafuerte ed El Coca finalmente torniamo a muoverci per vie terrestri.