Dushanbe in Tajikistan
[Day 161 to 164] Dushanbe: quanto resisterà l’anima della città?
Descrivere Dushanbe è impresa ardua perché evolve alla stessa velocità con cui provi ad incasellarla.
Di sicuro il presidente Rahmon ha una idea precisa di come la vorrebbe e la sta ricostruendo a sua immagine e somiglianza: via i palazzi neoclassici sovietici del centro, dentro architetture eclettiche e trionfali che sembrano uscite da una distopia di Ballard. Eppure, al contrario di Astana, Dushanbe è viva e vegeta e ha una storia alle spalle, le persone sembrano viverci molto bene, i fiori e i giardini abbondano, ci sono fontane ovunque, le ragazze indossano lunghi vestiti smaglianti, gli uomini sono tutti in giacca e cravatta, ci sono bar, ristoranti, panchine, piste ciclabili, impianti sportivi di ultima generazione, teatri e tutto quello di cui ha bisogno una vera città.
Ripensando al Pamir, dal cuore grande grande ma povero in canna, ci si chiede come sia possibile che questo paese sia cosi diverso da se stesso. A Dushanbe gli alberi vengono letteralmente allagati dalle inaffiatrici automatiche mentre a Murghab, l’acqua prelevata dai pozzi viene centellinata perché non esiste acqua corrente.
Ovviamente non è tutto oro quello che luccica: appena si esce un poco dal centro lo spettro sovietico torna in grande stile con il suo arsenale di casermoni di cemento e terreni brulli. Ma è anche qui che la gente vive e lavora in massa: il Korvon baazar è uno dei più grandi mercati che abbiamo mai visto in vita nostra e si estende per quasi 1 km quadrato. Attorno alla moschea di Yakub invece persevera una specie di Medina fatta di case cadenti e viottoli stretti.
Il punto, fra qualche anno, sarà quello di capire se le mille anime di Dushanbe avranno abdicato o meno allo strapotere “funzionale” di Rahmon…