La spiritualità kirghisa di Osh
[Day 145 to 147] Osh, oh Osh!
Appena si arriva a Osh si respira subito aria di medioriente. Le dune desertiche all’orizzonte, i bazaar caotici e polverosi, il fascino delle donne vestite di lunghi ed eleganti abiti multicolore. La Russia è lontana, in queste zone il Kyrgyzstan è legato in maniera più profonda alla tradizione persiana e turca tramite il cordone ombelicale dell’Uzbekistan.
Al centro della città domina il Sulaiman-Too, la montagna sacra di Osh, patrimonio UNESCO, metà di pellegrinaggio islamica e pre-islamica, dove si narra si trovi la tomba di Salomone. Un cimitero Kirghiso avvolge le pendici della montagna e in alto la vista è sensazionale perché il Sulamain-Too è una delle poche alture nel raggio di centinaia di chilometri: dall’alto Osh sembra un oasi verde in un mare agitato di onde dorate.
Osh è una città pacifica ma allo stesso tempo vivace, meno quadrata di Bishkek e più intensa di Karakol. Marca il punto di mezzo della via della seta ed è il crocevia di tutte le culture centroasiatiche: russi, turchi, uzbeki, tajiki, kirghisi, tartari, afghani, kazakhi convivono in questa città che mescola statue di Lenin, moschee imperiose, anziani che giocano a backgammon e mercati traboccanti di cibo e vestiti.
[Day 143] Terzani-mania 📸
Appena arrivati a Osh, di cui parleremo più avanti, siamo subito andati a cercare la grande statua di Lenin, immortalata anche da uno scatto di Terzani pubblicato in “Buonanotte Signor Lenin”. Volevamo replicare la stessa foto fatta da lui nel 1991, l’anno della dissoluzione dell’unione sovietica e dell’indipendenza del Kirghizistan .
Abbiamo scattato un paio di foto dalla piazza antistante prima di accorgerci che la foto doveva essere stata fatta dal palazzo di fronte, specificatamente all’ultimo piano. Ci siamo fatti coraggio e abbiamo chiesto al poliziotto di guardia di farci salire un po a gesti e un po mostrando la foto in bianco e nero di Terzani.
“Da, Vladimir Ilic Lenin” ci fa lui. Si si lo so che quello è Lenin, ma a noi mancano delle rotelle nel cervello, vogliamo replicare la stessa foto scattata nel 1991 oggi nel 2018, 27 anni dopo e per fare questo dovremmo salire all’ultimo piano. Lui, non so come sia possibile, ma capisce e ci dice “an minuten”.
Dopo un minuto compaiono un signore distinto e un giovane poliziotto sorridente. Il signore parla un pochino di francese e alle con le sue spiccate doti linguistiche, non senza imbarazzo, gli spiega la situazione. “Ok, pas de problem”.
Saliamo tutti e tre all’ultimo piano. Il palazzo è molto bello, una elegante austerità kirghiso-sovietica. Ci viene in mente che Terzani potrebbe aver camminato sullo stesso tappeto in cui lo stiamo facendo noi e ci commuoviamo di nuovo come ad Almaty. Il signore deve essere un pezzo grosso perché mentre passiamo tutti lo riveriscono e gli stringono la mano. Arrivati nella stanza, il signore ci saluta e ci lascia, mentre il giovane poliziotto ci apre la finestra.
Eccolo il Vladimir Ilic Lenin immortalato da Terzani, anche se un po decentrato rispetto all’originale. Cosa è cambiato rispetto ad allora? Ci sono tanti alberi oggi e forse qualche casa in più all’orizzonte. Ma la cosa più incredibile è che Lenin è agghindato con striscioni che pubblicizzano i 27 anni dell’indipendenza… sul serio Lenin sta festeggiando l’indipendenza del Kyrgyzstan?? Divertiti facciamo vedere la foto al giovane poliziotto: “vedi questa foto è stata scattata nel 1991, proprio come dicono gli striscioni: 1991-2018.” Lui non capisce o fa lo gnorri dice: “angliski? London?” “Niet niet italianski” rispondiamo. “Oooh italianski” contrattacca lui, che parafrasato dal kirghiso significa “oh cazzo voi italiani siete i piu fighi del mondo”.
Lo capisco, probabilmente nel 1991 non era neanche nato e oggi i giovani ascoltano despacito e Justin Bieber. Questo nostro attaccamento alla storia passata è davvero bislacco e in genere per gli asiatici è davvero incomprensibile. Ma quanto era buffo quel Lenin che festeggiava l’indipendenza del Kyrgyzstan…
Le vite degli altri: Nigmat, un uzbeko ad Uzgen
Oggi Nigmat compie 52 anni e li sta festeggiando solo con noi due. Siamo al ristorante dove ci ha invitati a sedersi con lui, davanti a un plov, due shashlik, del the nero.
Nigmat lavora a Ozgen in Kirghizistan ma è di Andijan in Uzbekistan e ne va molto orgoglioso:”Uzbekistan pulito e ordinato, Kirghizistan sporco e disordinato, Tajikistan… lasciamo stare!” Si porta dietro sempre una bottiglietta d’acqua che qualcuno in italia chiamerebbe “birichina”, ovvero riempita di vodka perché apparentemente è meglio non far notare che uno straniero uzbeko beve vodka.
Però Nigmat ha sete e si mette in testa di andare a cercare in giro per il bazaar una birra italiana, una Moretti se possibile. Ovviamente il tentativo fallisce e ci ritroviamo tutti e tre a bere della birra kirghisa da un rivenditore di alcoolici pieno di simpaticissimi vecchini ubriachi.
Dopo la birra è tempo di vedere la torre di Ozgen, un tempo splendida capitale del khanato karakanide. Anche se ci lavora, Nigmat non sa nulla di Ozgen e finisco per fare da guida (con quel poco che so visto che google non è molto interessato alla storia del Kirghizistan ) ad un uzbeko in terra kirghisa.
È strano aver conosciuto un uzbeko proprio ad Ozgen, la città dove kirghisi e uzbeki si sono massacrati nel 1990 e nel 2010: due etnie simili di origine turchica messe l’uno contro l’altro dal divide et impera dell’unione sovietica e dalla povertà.
Nigmat snobba la scarsa ricchezza culturale e architettonica di Ozgen e mi pare un italiano in vacanza in Germania: “a Samarcanda ce ne sono centinaia di robe più belle di cosi”. Poi però si lamenta dei prati tenuti in malo modo e della scarsa preservazione dei beni culturali e allora mi sembra un tedesco in vacanza in Italia.
Usciti dalla torre, Nigmat vuole farci provare del kumis locale (latte fermentato) ma non sa dove andare, alla fine riusciamo a trovarlo nel bazaar dopo aver chiesto a mezzo mondo.
Nigmat a ozgen è impacciato e spaesato, ci ripete che dobbiamo andare ad Andijan, a casa sua perché li ci potrà trattare come meritano degli ospiti. Ci scambiamo numero e indirizzo e probabilmente lo rivedremo.
Pensare che una volta Uzbekistan e Kirghizistan erano unite sotto l’unica bandiera del turkestan e che dei russi sono arrivati a separarli. I confini certe volte sono veramente delle linee immaginarie.
Le vite degli altri: on the road again with Nyaz
La strada che va da Bishkek a Osh è una delle più affascinanti che io abbia mai fatto (so che continuo a ripetermi ma le montagne del Kyrgysztan sono qualcosa di ineguagliabile): tre passi sopra i 3300 metri, canyon rocciosi e aspri che lasciano spazio a montagne dorate che degradano fino a tuffarsi in una serie di fiumi e laghi blu cobalto, colline che sembrano dune nel deserto. Non abbiamo reperti fotografici (e quelli che abbiamo sono pessimi) perché Nyaz, il ragazzo a cui abbiamo scroccato l’autostop, guidava come un pazzo. Il 10 settembre si sposa e ovviamente ci ha invitati al suo matrimonio lui e il suo amico Dastan stanno tornando a casa da Irkusk, la regione della Russia dove lavorano, che si trova a 5000km di distanza da Osh. Hanno guidato giorno e notte, dandosi il cambio, per 2 giorni e mezzo, incredibile! Quella di Nyaz e Dastan è una storia comune in Kirghizistan , dove 1/6 della popolazione lavora all’estero, principalmente in Russia ma anche in europa e stati uniti. Dastan ad esempio è laureato in legge ma ha deciso di aprire un negozio di vestiti a Bratsk, nella profonda siberia, perché in Kyrgyzstan non ce lavoro.
Nyaz, come tutti, ci chiede se siamo sposati e se abbiamo figli. “Cosa? Non avete figli? Ma come è possibile?” Lui, tra il serio e il faceto, ci dice che ne vorrebbe 4, 5, 10, 100 figli! Mai abbiamo subito come in Kirghizistan , tanta pressione sociale per avere dei figli, qui la famiglia è una entità sacra e unica, un po come poteva essere da noi 50 anni fa.
Nyaz e Dastan sono simpaticissimi e la chiacchiera viene facile: vogliono sapere un sacco di cose sull’italia, anche se la confondono un po con il Messico e la spagna. La moda, le macchine, gli stipendi, squadre di calcio e personaggi famosi. Non parlano inglese e le modalità principali con cui interloquiamo sono i gesti, google translate e le poche parole che noi sappiamo in Kirghiso e russo e le poche parole che loro sanno in inglese e italiano. Ne viene fuori un esperanto euro-asiatico miracoloso: “money, рахмат, hot, grazie, Спасибо, красивая, gnam-gnam”. La potenza del viaggio.