[Day 123 – 124] Karaganda: non si esce vivi dagli anni 80.. senza Alex!
Alex ci viene a prendere alla stazione di Karaganda con un audi abbastanza scassata. Saliamo in macchina e attraversiamo la steppa kazaka tra miniere di carbone, palazzoni sovietici sfasciati, pipeline giganti arrugginite per il trasporto dell’acqua, Lada scarrocciate e Cayenne nuove di zecca che si superano l’un con l’altra e terribili scie nere di inquinamento nel cielo. Un mondo parallelo che tira avanti da decenni: non si esce vivi dagli anni ottanta.
Poi però Alex ci apre le porte della sua casetta e ci si scioglie il cuore: una deliziosa casina rosa con le finestre blu, piena di fiori colorati. Alex l ha sistemata da solo e vive qua con la moglie, i suoi due fantastici bimbi e la suocera. Ci mostra il suo orto dove coltiva un po di tutto. Di fianco alla casa ha una dependance dove al secondo piano ha creato un stanza dei giochi per i bimbi, al piano di sotto ha il garage con la riserva di carbone (si, qui nel Kazakistan centrale non hanno ancora l’allaccio del gas e vanno a carbone). Mangiamo cose fatte in casa preparate dalla nonna a colazione e cena e il momento del the è sacro con un sacco di marmellate, formaggi e biscottini.
Nonostante il giorno seguente dovranno partire per le vacanze in Uzbekistan, Alex ci accompagna ovunque con la macchina e ci vuole pagare tutto, “ospitalita kazakha” dice, facciamo fatica persino a pagare il biglietto per entrare al museo di Karlag, uno dei gulag piu grandi di tutta l’unione sovietica, ampio come la superficie di Lombardia e Piemonte messi insieme. Alex è un kazako russo, i suoi nonni laureati in geologia, emigrarono qua per lavoro. In queste terre, l’ integrazione tra popoli è miracolosa: ci sono colonie di coreani, tedeschi, russi e slavi, persino italiani, nipoti dei prigionieri deportati nei gulag o arrivati qua per lavorare nella riserva di carbone più grande del mondo.
L’unica volta in cui siamo soli senza Alex, entriamo in un piccolo market di un sobborgo di una cittadina sperduta nelle steppe, Shakhtinsk. Un signore di origine tartara ci offre una birra e delle palline di formaggio tipiche, una nonnina ci offre una mela, parlandoci dieci minuti in russo di cui capiamo solo la parola “almaty”.
Iniziamo a capire cosa sia la proverbiale ospitalità Kazaka…