Almaty, l’anima del Kazakistan
[Day 124 – 125] Almaty: Sulle tracce di Terzani nella città “nonno delle mele”.
Il nostro bus ci combina un bello scherzetto: arriviamo ad Almaty con tre ore di anticipo rispetto al previsto, alle 3 di notte, e non ci sembra opportuno svegliare Sasha, l’amica kazaka di Alle che ci aspetta a casa per le 7 del mattino. A quell’ora cercare un hotel é complicato; non ci resta che passare la notte nel dehor di un doner café di Almaty a giocare a briscola.
Verso le 5:30 di mattina viene l’alba e scopre finalmente le montagne. Dopo 4 giorni di steppa a perdita d’occhio, la catena del Tien Shan, le “montagne celesti”, è li davanti a noi e mi commuovo. Ho raggiunto uno degli apici della mia vita: vedere il Tien Shan dallo stesso punto in cui lo aveva visto Terzani in “Buonanotte Signor Lenin”. Sono almeno 4 anni che sogno questo momento. Le 10 righe di introduzione al capitolo dedicato ad Almaty del libro è uno dei motivi per cui ho intrapreso questo viaggio. Cosa è rimasto della città che più di tutte era entrata nel cuore dello scrittore toscano? Tracce, credo. Soprattutto monumenti e celebrazioni dell’ “epic fail” (ora possiamo dirlo) sovietico. Il monumento a Kunaev, il gerarca per eccellenza della nomenklatura kazaka che si era fatto costruire una piazza davanti casa intitolata a se stesso. Il monumento ai 28 eroi di Panfilov, il monumento a Abay Kunanbaev, il grande poeta kazako.
Poi ci sono le vibrazioni di questa metropoli, che sono le stesse che percepiva Terzani nel 1991: una città vitale e briosa, piena di parchi e di natura, che ha perso lo status di capitale nel 1997 ma oggi ha una varietà di ristoranti e bar che farebbe invidia a diverse capitali europee.
Infine c’è la nuova Almaty di Nazarbaev, con l’architettura post-sovietica, identica in tutto e per tutto a quella sovietica. Si fa veramente fatica a distinguere l’arco del presidente Nazarbaev da uno dei tanti archi colossali costruiti dai sovietici. É l'”operazione cosmetica” che già allora denunciava Terzani: dopo il crollo dell’URSS, i modi e le persone rimasero identici, cambiarono solo i nomi. Non più comunisti ma socialdemocratici o magari nazionalisti.
[Day 126 e 127] Tamgaly Tas: i buddisti in Kazakistan!
I dintorni di Almaty sono davvero sensazionali: nel giro di due ore si passa dai 5000 metri della catena montuosa del Tien Shan ai canyon rocciosi sprofondati nella steppa kazakha. E questo è solo l’inizio.
Il Big Almaty lake è una delle perle del parco di Ile-Alatau a poche decine di chilometri dal confine con il Kyrzigistan: un grande lago cristallino a quota 2500 metri circondato da montagne maestose e pinete antichissime.
Dalla parte opposta invece, a nord verso il lago Balkalsh, le strade si inoltrano nella steppa infinita che in prossimità del fiume Ili forma degli incredibili canyon fatti di colline vellutate e costoni rocciosi aguzzi. Il sito di Tamgaly Tas è pazzesco: ci sono delle iscrizioni rupestri vecchie di migliaia di anni: scritte in lingue tibetane e rappresentazioni di Buddha incise nella roccia. Altre ancora più antiche rappresentano animali o divinità sconosciute. Ancora oggi rimane un mistero chi le abbia realizzate, forse missionari cinesi arrivati percorrendo il fiume Ili: la leggenda racconta che quando arrivarono in questo punto ci fu un terremoto che venne interpretato come un segno divino… non era il caso di andare oltre!
[Day 128] Montagne vere: Shymbulak ad Almaty
Le prime montagne vere le approcciamo a Shymbulak, una stazione sciistica che si trova a 3200 metri SLM. Si raggiunge in un’ora dal centro città semplicemente con bus urbani e funivie e questo la dice lunga sulla posizione strategica “miracolosa” di Almaty.
A metà strada, incastonato tra verdi montagne, compare il Medeo, uno dei simboli sportivi per eccellenza dell’Unione Sovietica. Si tratta della pista di pattinaggio di alta montagna più grande del mondo ed è stata costruita a partire dal 1949. Qui, dal 1951 al 1972, furono abbattuti 47 record mondiali grazie alle condizioni climatiche ideali e alle ottime caratteristiche costruttive.
Saliamo ancora, grazie a tre funivie, da 1600 metri a 3200 metri. La vista sul pianoro finale è da urlo nonostante le nuvole si addensino sulle cime rocciose. C’è molto delle nostre Alpi e dei nostri Appennini in questi picchi aguzzi: le montagne, quelle vere, in ogni parte del mondo sono bellissime, più di qualsiasi altra cosa.
[Day 189-190] A kind of blue in Almaty: arrivederci
Io e Alle siamo tornati ad Almaty. In due mesi è cambiato tutto, non si vedono piu le montagne nel cielo azzurro e la temperatura è vicina allo zero. Il lago estivo che vedevamo da casa di Sasha è quasi prosciugato. Ma Almaty rimane una città bellissima, la più affascinante di tutto il centro asia. Ora è vestita di autunno e l’immenso patrimonio verde di cui dispone si è colorato di rosso e di giallo.
Oggi si è scatenata una improvvisa bufera di neve, d’improvviso è diventato tutto bianco, non si vedeva piu nulla dal balcone di casa. Poi dopo qualche ora il sole al tramonto ha aperto uno squarcio nelle nubi, il cielo si è ripulito e ha rivelato le incredibili cime del Tian Shan all’orizzonte che ci avevano commosso al primo sguardo. Il cielo si è tinto di mille colori regalandoci uno dei piu bei tramonti che abbiamo mai visto negli ultimi tempi e lo dico nonostante abbiamo passato gli ultimi mesi in India, Vietnam, Filippine e Myanmar.
Allora ho pensato che per fare innamorare di Almaty anche voi, avevo bisogno di un trucco. Rendere Almaty, come la Manhattan di Woody Allen, una bella tela sonora: piazzaci una bella musica e vedrai che Almaty sembrerà New York o Chicago, la gente di sotto non starà bevendo chai o mangiando shashlik ma starà sorseggiando martini e mangiando pastrami (che fa più figo).
Fredda e fascinosa: io credo che Almaty sarebbe piaciuta molto a Miles Davis.
Le vite degli altri: Dima ad Almaty
Dima ha la mia stessa età e parla pochissimo inglese a parte quando beve Vodka. “The translator” lo chiama, ogni volta che versa due bicchierini come ad invocare il potere dell’alcool. Ed effettivamente devo ammettere io stesso che è uno strumento notevolmente migliore di google translate. Cosi va a finire che io e lui a casa in due sere ci finiamo una intera bottiglia e parliamo di un sacco di cose. La vodka è ucraina e si chiama il “senato cosacco”. Prendendo spunto da questo, si avventura temerario in un racconto storico su Almaty, i cosacchi in Kazakistan, Amir Timur e Tamerlano. Poi alla quinta vodka cambia discorso e vuole sapere se agli italiani piace pescare e cacciare. Scopro che è follemente innamorato dei film di Celentano, gli faccio vedere l’epico molleggiato che pesta l’uva con i piedi e lui sicuro mi dice: “oh yes, this is il bisbetico domato”.
Alla settima prende la chitarra e suonicchia qualche pezzo di Kostantin Nikolski e Victor Tsoy. Mi fa vedere un video di quest’ultimo del 1988 insieme ai Kino e rimango sconcertato: un punk wave sferzante e rivoluzionario. Tsoy muore a 28 anni in un incidente d’auto e ciò contribuisce ad alimentare la sua leggenda. (Qui trovate il link al video di Viktor Tsoy: https://www.youtube.com/watch?v=bhIwoHbMrU8)
Dima è fortemente anticomunista, “Lenin no good, Stalin no good”. Provo a scuotere il discorso dicendo che in Italia la controcultura e le istanze di ribellione erano in gran parte filo-sovietiche, l’esatto opposto delle loro. Gli mostro un gruppettino di primo pelo che si chiamava CCCP. Lui rimane scosso e la prima cosa che gli viene in mente è: “ma quindi anche Celentano e Pupo erano….”. Lo tranquilizzo subito dicendo che non erano cantanti schierati (anche se su Celentano avrei dovuto aprire una parentesi che per il mio inglese attuale è davvero troppo).
Dima verte quindi sulla politica attuale: ha paura che la Russia stia andando incontro ad una seconda Unione Sovietica perché con le sanzioni di USA ed Europa, il rischio è che la Russia e i paesi satelliti possano crollare economicamente e che i confini vengano sigillati di nuovo. Mi chiede perché Europa – ma soprattutto USA – debbano agire in questo modo. Avrei potuto rispondere con la retorica occidentale che Putin è un attentatore della libertà e che perseguita gli oppositori ma mi sono reso immediatamente conto che le preoccupazioni di un uomo non si curano con delle frasi fatte o per sentito dire. Non gli rispondo perché non lo so. Ma di sicuro nel 2018 la più pericolosa delle armi nucleari per questi paesi è la finanza globale.