Cartagena
Cartagena è di una bellezza inquietante, una Venere in pelliccia indecifrabile.
Dentro le colossali mura va in scena la meraviglia della Cartagena coloniale, un tripudio di storia, fantasie cromatiche ed esuberanze architettoniche. Nonostante le tonnellate di turisti è impossibile non rimanere senza fiato di fronte alla città che fu il porto principale di tutto il sudamerica per secoli e protagonista di numerosi assedi e battaglie. E zigzagando per i vicoli, zeppi di caffetterie sgargianti, ristorantini preconfezionati e negozi di abbigliamento di lusso, non è raro trovare qualche frammento di una cartagena più locale, barbieri vintage e venditori di succulente empanadas.


Bastano pochi isolati invece perchè Cartagena volti la faccia completamente al suo passato: l’istmo di Bocagrande è colonizzato da una grandiosa, bianca skyline futuristica che si affaccia su chilometri di spiaggia libera come se fossimo a Rio de Janeiro; di notte il covo perfetto per il pernottamento del jet-set nazionale e di giorno il centro del divertimento per le povere anime che non si possono permettere di sbarcare in motoscafo sulle verdeggianti isole nei dintorni di Cartagena.
Poi c’è tutto il resto, che, come sempre, è l’invisibile, reietta maggioranza della popolazione. Chilometri e chilometri di un labirinto di case basse e vie trafficate che vivono una vita parallela al turismo, alla storia, alla economia globale.
E mi sembra tanto che quella mura spesse e potenti, che una volta servivano per difendersi da pirati e corsari, oggi indichino in maniera inequivocabile chi stia dentro e chi stia fuori.


