I 3 motivi più stravaganti per visitare Cuzco
Cuzco è probabilmente una delle città più visitate del mondo e senza alcun dubbio a gran ragione. Oltre alle decine di siti mozzafiato che si trovano a pochi chilometri di distanza (Machu Picchu, Ollantaytambo, pisac, Marais), la capitale della cultura quechua conserva un centro storico meraviglioso.
La sensazione poteva essere quella di trovarsi in una Gerusalemme sudamericana, dove il potere spirituale viene irradiato ovunque attraverso le catacombe cristiane, i templi dei re inca e gli altari delle chiese coloniali. Non a caso il primo re Inca, Manco Capac, aveva scelto questo posto perché era l’unico in cui era riuscito a conficcare una barra di oro, testimoniando le sue potenzialità spirituali e probabilmente anche elettromagnetiche (e dando adito a miriadi di congetture cospirazioniste).
Oggi il turismo ha attutito molto l’effetto spirituale e con le cholitas che acchittano i baby alpaca con accessori dai colori lisergici per raccogliere qualche moneta, le ragazzine che pubblicizzano massaggi svedesi in piazza e le decine di pseudo pittori vedutisti, la sindrome di Stendhal fa fatica a montare.
Noi però, seguendo il nostro filone vogliamo raccontarvi 3 bizzarrie di Cuzco: il palazzo Qoracancha e le incredibili mura quechua, le blasfemie dei pittori della scuola cuzquena e infine di dove siamo andati a infilarci per poter riuscire a bere la zozzissima, terribile chicha fermentata.
1. Il palazzo Qoracancha e le incredibili mura Quechua
C’è una stretta via nel centro di Cuzco dove muri coloniali e muri quechua corrono parallelamente sfidandosi a viso aperto. La battaglia è ampiamente vinta dalla superficie liscia, perfetta, quasi irreale delle pareti erette dai re inca. Sono dei muri a secco, con le pietre sovrapposte perfettamente l’una sull’altra come in un puzzle. Tutte le pareti sono leggermente inclinate perché già al tempo i quechua adottavano soluzioni asismiche.
Gli spagnoli che sperimentarono ben presto i primi terremoti, dopo aver distrutto e saccheggiato tutto, come da buona educazione quando si è ospiti, decisero di mantenere le fondamenta quechua perché non erano in grado di replicare una qualità di costruzione così elevata.
Così oggi Cuzco è due città l’una sull’altra, quella seminterrata dei re inca e quella coloniale degli spagnoli. La prima non si può vedere perché la seconda è patrimonio UNESCO e non si può toccare.
Il qoracancha è il luogo simbolo di Cuzco: contiene due santuari, innestati l’uno sopra l’altro. La parte sottostante, complesso sacro degli Inca, sembra uscito da un film espressionista tedesco sci-fi. La parte soprastante è lo splendido monastero barocco di San Domenico che si erge come un leone vittorioso sopra i resti della cultura quechua. Il contrasto è spiazzante e surreale. Gli spagnoli costruivano appositamente sopra i luoghi sacri degli Inca per cancellare il loro culto in odore di blasfemia.
Una delle cose più sorprendenti di tutta la cultura quechua è la loro cosmologia: all’interno del qoracancha c’è una stele, disegnata da un importante mestizo di fine 500, che rappresenta il mondo terreno e ultraterreno per i quechua. Sembra un quadro di Joan Mirò. La loro fiducia spirituale nel sole, nella luna e nelle stelle era qualcosa di veramente toccante.
2. Le blasfemie dei pittori della scuola cuzqueña
Quando gli spagnoli cominciarono a convertire al cristianesimo gli indigeni, c’era il bisogno di creare un’iconografia per fare capire di che diavolo stessero parlando quei musi bianchi barbuti che cavalcano degli strani animali a quattro zampe. Una volta istruiti sui segreti della tradizione rinascimentale e barocca, i nativi diventarono una ghiotta fonte di arte e artigianato a basso costo.
Eppure non potevano dimenticare da dove venivano e come era stata occupata la loro terra d’origine. Il risultato spesso fu una commistione sorprendente di arte indigena e arte europea, soprattutto per quanto riguarda l’arte delle sculture in legno. Ma i pittori della scuola cuzquena andarono ben oltre, disseminando le loro opere religiose di indizi più o meno evidenti legati alla loro tradizione e ai loro culti, che spesso erano anche allegorie disperate della loro condizione di prigionieri nella loro stessa terra.
Dipingevano cristo in croce con il simbolo del dio sole al posto dell’areola, San Pietro che mastica foglie di coca, la Madonna con il simbolo della Pachamama, l’ultima cena ricolma di gente locale e con un vassoio di cuy (Il tipico porcellino d’India) e frutta tropicale.
C’è pure un quadro con un sofferente cristo in croce dalla pelle scura, vestito con abiti andini e chiari lineamenti indigeni. Un chiaro simbolo del dolore immane di un intero popolo costretto alla resa.
3. La terribile Chicha fermentata
La via che ci ha condotto alla terribile chicha fermentata è stata lunga e travagliata. Ma partiamo dall’inizio: una delle bevande nazionali del Perù è sicuramente la chicha morada, un dissetante succo analcolico a base di mais. Ne esiste però una versione alcolica che era la bevanda con cui i quechua si scassavano già secoli fa e che oggi è una specie di eldorado per il turista gringo perché non si capisce bene dove trovarla.
Proviamo al mercato dove delle simpatiche abuelas che vendevano succo di quinoa ci danno qualche indicazione e due parole chiave “Arriba” e “Roja”, dopodiché cominciano a ridersela di gusto e a mimare le gesta di ubriaconi. Proviamo a risalire il colle dove è poggiata Cuzco, chiediamo ancora ma le indicazioni sono sempre poco soddisfacenti e le risposte sempre a denti stretti. Quando siamo sul punto di mollare tutto, un simpatico signore proprietario di un minimarket si avvicina e ci chiede cosa stessimo cercando. “Si beve lassù da quelle parti, ma attenzione perché è zona rossa, cercate di svignarvela prima che faccia buio”.
Percorriamo una breve salita dopodiché un locale chiuso da una tendina attira l’attenzione alla nostra sinistra, c’è un cartellone con scritto tra le altre cose “chicha”. L’abbiamo finalmente trovata!
Il locale è una sorta di girone dantesco o più propriamente un simpatico ghetto di ubriaconi e “viveur” compassati. Quando entriamo due secondi di assoluto silenzio equivalgono a “che cazzo ci fate qui?”, ma noi ci sediamo vicino ad una dolce vecchina ubriacona e tutto fila liscio.
La chicha fermentata è mescolata in un puzzolente scodellone da 20 litri stile fattucchiera e servito su un bicchierone da mezzo litro che costa 1 soles (0,25 cent). Il gusto è tra il terribile e l’orripilante, il locale funge anche da vivaio per mosche e insetti vari. Ma l’atmosfera è gioviale e i live di musica andina alla televisione a tubo catodico creano un bel momento conviviale.
Ce la svigniamo poco prima del tramonto, con la sensazione che se esiste un posto pericoloso a Cuzco di sicuro non è quella zona rossa, a meno che una vecchina ubriaca non ti lanci una borsetta addosso.